LIBERTA', racconto di Giuseppina De Marco

Cari lettori,

questa volta vi propongo il racconto selezionato per l’inserimento nell’Antologia FIERA-MENTE edizione 2024

“Donne: connubio tra forza e fragilità” – sezione racconti

Ringrazio la Atile Edizioni per le opportunità che riserva a tutti gli appassionati di scrittura. L’antologia, alla sua seconda edizione, è stata già presentata al Salone del libro di Torino e al Salone del libro e dell’editoria – NAPOLI CITTA’ LIBRO

 

 

La fragilità non è debolezza, ma sintomo di input per trovare e capire la vera forza

che si nasconde dentro ognuno di noi. Questo sottolineano in primis i racconti dell’antologia

“Donne: connubio tra forza e fragilità”.

Temi che si prendono sotto braccio e incidono nel cuore di chi legge riflessioni profonde

e parlano all’anima di umanità.

Un’umanità scoperta grazie al dolore di molti argomenti odierni e originali

affrontati da ogni autore con saggezza, veridicità,

con l’autentica consapevolezza che la vita è più sofferenza che gioia.

Ma solo dopo tanta disperazione

è possibile trovare la felicità o un possibile

stato di soddisfazione interiore e di serenità al fianco degli altri.

(Dalla prefazione a cura di Francesca Ghiribelli)

 

 

 

 

 LIBERTÀ

 

Il cellulare continua a squillare. Ho deciso di non rispondere. Zitta e muta. È così che me ne starò da oggi in poi. A che serve parlare, se poi chi dovrebbe non ti ascolta? E, se ti ascolta, sente solo quello che gli conviene? Ci ho provato, ho creduto che la parola fosse l’arma più efficace per risolvere i problemi. Invece? Invece no.

Puoi squillare quanto vuoi, tanto fingerò di non sentire. Anzi, adesso, lo spengo. Intorno a me il silenzio. Dolcissimo e terribile silenzio, che mi pervade le orecchie e il cervello. Fisso una crepa sulla parete. Nessuno sa che ho le chiavi. Il proprietario è ricoverato per una riabilitazione motoria. È un vecchio amico di mia madre.

Mi raccomando, mi fido solo di te.

Certo, Luigi, mi prenderò cura della tua casa.

Così, con la scusa della parola data, vengo qui a cercare pace. Cinque piani. Cinque faticosissimi piani senza ascensore. Col caldo di luglio è un suicidio. Ma io non demordo. Apro lentamente la porta e, ogni volta, entro in un luogo misterioso. Dovrei spalancare le finestre. C’è cattivo odore, ma non voglio che i rumori della strada possano contaminare il mio rifugio. Guardo negli armadi. Spulcio nei cassetti. Tutto è terribilmente in ordine. Immagino che lì sia la mia vita.

Ecco, la porta si apre. L’uomo dei miei sogni entra con un fascio di fiori. Li annuso ad uno ad uno. Li poggio sull’angolo del tavolo. Lascio scorrere la fontana. Con una mano mi rinfresco la fronte. Con l’altra tengo stretto il vaso, proprio come la protagonista di un vecchio film. Non ricordo il titolo, ma mi è rimasta impressa la scena. I fiori nel vaso e un lunghissimo bacio appassionato.

Ormai conosco a memoria ogni angolo. Ho frugato dappertutto. Non proprio dappertutto. C’è una scatola di latta sull’armadio della stanza degli ospiti. È rettangolare con una raffigurazione dei girasoli di Van Gogh. È chiusa ermeticamente con dell’adesivo da imballaggio. Uno scarabocchio su un vecchio foglio di quaderno completa l’opera: non aprire!

Fa terribilmente caldo. Decido di fare una doccia. Mi tolgo un indumento alla volta. Immagino che qualcuno mi stia osservando. Improvviso un eccitante spogliarello per la donna che mi osserva dallo specchio.  L’acqua è fredda. Ci mette un po’ a riscaldarsi. Mi sento rigenerata. Mi avvolgo in un grande asciugamano verde e mi avvicino alla finestra.

Nel cortile c’è poca gente. Qualche condomino prende il sole sulle panchine. Due bambini urlano e ridacchiano, mentre si spingono a turno su una vecchia altalena. Poi c’è una donna che cammina avanti e indietro, come se aspettasse qualcuno.

Mi siedo sullo sgabello e fisso lo specchio in attesa che il vapore si diradi. Mi spazzolo i capelli, lasciando che le goccioline cadano lentamente sulla schiena. Disegno uno strano omino sullo specchio appannato.

Sento un rumore. Non è possibile. Su questo piano non abita nessuno. Cerco di calmarmi. Non può essere lui. Non sa nulla di me e Luigi. Della nostra splendida amicizia. Delle lunghe chiacchierate in fila all’ufficio postale. Qualcuno apre porta. Spengo la luce e resto immobile. Questa volta per davvero devo stare zitta e muta. Dal profumo capisco che è una donna. Si sente anche l’odore di una sigaretta. Cammina per l’appartamento con fare sicuro. Conosce bene ogni angolo. Sento che apre un cassetto e tira fuori qualcosa. Forse una scatola.

Cazzo! Mi cade la spazzola.  Trattengo il fiato, finché posso. Ci sono delle forbici su una mensola. Le afferro. Non si sa mai.

Vieni fuori! La voce mi conferma che è una donna.

Ci ritroviamo, una di fronte all’altra, armate io di forbici e lei di un soprammobile. Ci guardiamo.

E tu che ci fai qui?  La domanda è reciproca.

Io ho le chiavi. Risponde la nuova arrivata.

Anch’io ho le chiavi. Esclamo, mentre cerco di trattenere l’asciugamano che mi avvolge.

Non è possibile! Luigi mi ha garantito…

Mi sa che lo ha garantito anche a me.

La osservo bene. È la donna che passeggiava nel parco.

Mentre ci fissiamo, come se stessimo per dare inizio a un duello, qualcuno tenta di entrare.

Ancora? Che merda di giornata che mi è capitata. E io che pensavo di trovare un po’ di quiete.

All’unisono i nostri occhi si concentrano sulla porta.

E voi che ci fate qui? Come avete fatto ad entrare?

Abbiamo le chiavi. Esclamiamo in coro.

Non è possibile! Lui mi ha garantito…

Lo ha garantito anche a noi.

Non vi credo.

Io e la prima arrivata deponiamo le armi e ci lasciamo cadere sul divano.

Ho i capelli bagnati e spargo goccioline d’acqua dappertutto.

A questo punto, almeno presentiamoci. Suggerisco, dopo un lungo sospiro.

Non ne vedo il motivo. Ora chiamo i carabinieri e risolviamo la faccenda. Urla la nuova arrivata, brandendo il cellulare.

No, ti prego. Hai ragione. Sono io l’intrusa. Interviene la donna del cortile. Ma, garantisco che non ho fatto nulla di male. Fino a qualche mese fa venivo a fare le pulizie. Il signor Luigi è andato in ospedale in fretta e furia e non ho avuto il tempo di restituirgli le chiavi. Ho visto una sagoma dietro alla finestra e sono passata a controllare.

Io sono la signora del primo piano e…

Io…io – balbetto con un filo di voce – io gli voglio bene e basta.

Facile a dirsi… Ma non ha il tempo di finire la frase, che la porta si spalanca di nuovo.

O mio Dio – mi lascio sfuggire, mentre tento di coprirmi come posso – e questo da dove sbuca?

Le altre due restano qualche istante a fissare il giovane in jeans e t-shirt blu navy.

E tu che ci fai qui?  Tutte e tre dimentichiamo chiarimenti e confessioni e concentriamo la nostra attenzione sul fisico super palestrato

E voi che ci fate qui? Come avete fatto ad entrare?

Abbiamo le chiavi. Esclamiamo in coro.

Non è possibile! Luigi mi ha … – esclama il giovane – passandosi una mano sulla barba alla Van Dyke, gesto che esalta ancor più il suo fascino.

Sono un infermiere della clinica. Il signor Luigi mi ha chiesto con tanta gentilezza di prendermi cura delle sue piante che non ho saputo dire di no. I profondi occhi neri spiccano sul volto abbronzatissimo.

Ricominciamo a turno la tiritera delle spiegazioni.

Ieri sera mi ha incaricato di prendere una scatola…aggiunge il giovane palesemente infastidito.

Sull’armadio…nella camera degli ospiti? La mia bocca si apre prima che il cervello si attivi.

Non l’avrai mica aperta? Esclama, fissandomi fino a farmi sentire a disagio.

Certo che no. Mi sento così stupida e quasi quasi colpevole, pur non avendo fatto nulla.

Le due donne continuano a guardarmi, come se stesse accadendo qualcosa di strano.

Anche lui mi fissa e con un certo imbarazzo.

Ho lasciato andare l’asciugamano e sono completamente…completamente nuda.

Mentre cerco di ricompormi, sento una grande confusione davanti alla porta.

Nooo, qualcun altro!

Che succede qua dentro? La signora del quarto piano è corsa giù ad avvisarmi che…

La portiera urla seguita da tre uomini per niente rassicuranti.

Vergognatevi, venite qui a fare le vostre cose, mentre quel poverino è in ospedale!

No, ci lasci spiegare.

Arrivano anche i carabinieri e hai voglia di chiarire. Sembra di stare al teatro degli equivoci.

La peggio messa sono io: mezza nuda e, per giunta, senza documenti. Vaglielo a dire che sono uscita di corsa, perché mio marito urlava e minacciava di trascinarmi per i capelli per tutto il vicolo.

Così sapranno che razza di scellerata sei. Vuoi fare la social? Vuoi avere i followers? Ti faccio vedere io quanti like ti metteranno.

A questo punto, tocca a me parlare. Scoppio in lacrime. Lascio cadere l’asciugamano e mostro tutti i lividi. Tocco ogni cicatrice. Sul volto non c’è nulla. Il mascalzone è furbo. Sa dove colpire. Racconto ogni cosa. Dalla prima volta, quando, accidentalmente, gli ho versato il caffè sui pantaloni. E poi il mio lavoro. I miei colleghi. I mestieri di casa. Le accuse, perché non sono stata capace di dargli un figlio.

Il cellulare riprende a squillare. I carabinieri mi consigliano di rispondere e dire che tra poco sarò a casa.

Tesoro, vedrai si aggiusterà tutto. Mi accoglie fingendo un sorriso che conosco bene.

Entro col cuore a mille. Lascio la porta socchiusa alle mie spalle. Nel salone ci sono fiori dovunque. La tavola è apparecchiata.

Dobbiamo rimandare la cena. Gli dico con una freddezza che non avrei mai immaginato di avere. Per molto, molto tempo – aggiungo mentre viene ammanettato – anzi, per sempre.

Luigi è tornato a casa e abbiamo fatto una grande festa. Ho scoperto che anche altre persone avevano le chiavi. Il poverino è affetto da una grave forma di demenza. È convinto di averle ad una sola persona fidata. In fondo, è quello che ha fatto. Ognuno di noi è per lui una persona fidata.

Ora vivo da sola con un gatto birmano e i miei fiori. So che a breve mio marito dovrebbe essere scarcerato. Ho paura che mi cerchi, ma io sono armata di coraggio e, grazie a Luigi, ho un esercito di amici.

Ops, il cellulare squilla. Non rispondo. Canticchiando, esco di casa e respiro l’aria frizzantina di una bellissima giornata di libertà.

P. S. Lo confesso. Poi ho sbirciato nella scatola. C’erano solo vecchi ritagli di giornale, una pipa e qualche foto sbiadita.

 

 

A prestissimo con un’altra pubblicazione!

 

 

 

 

 

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